Conversazioni con Dio

Conversazioni con Dio

von: John Henry Newman, La tradizione Cattolica

Danka, 2018

ISBN: 6610000077922 , 266 Seiten

Format: ePUB

Kopierschutz: DRM

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Preis: 4,99 EUR

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Conversazioni con Dio


 




::: Beato John Henry Newman :::

1. La comprensione può essere chiamata una legge eterna, poi­ché essa è simboleggiata, o piuttosto esiste perfetta nel suo tipo tra­scendente, che è il reciproco e ineffabile amore della Trinità. Dio, sebbene infinitamente Uno, è stato sempre Trino. Ha sempre esul­tato nel Figlio e nello Spirito ed essi in lui; così per tutta l’eternità egli è esistito, non solitario, anche se solo, poiché in questa incom­prensibile moltiplicazione di se stesso e ripetizione della sua perso­na, egli aveva una beatitudine tanto perfetta che niente di quanto aveva creato poteva aggiungervi qualcosa. Soltanto il diavolo è steri­le e isolato, chiuso in se stesso, e con lui i suoi servi.

 

2. Quando per la nostra salvezza il Figlio venne in terra e prese il nostro corpo, egli non poteva vivere senza la comprensione degli al­tri. Per trent’anni visse con Maria e Giuseppe, immagine della Tri­nità celeste qui in terra. Oh la perfezione dell’armonia che esisteva fra i tre! Non uno sguardo di uno di essi che gli altri due non capis­sero, sguardo che esprimeva più che se fosse stato spiegato con mil­le parole, anzi era capito ancora di più, accettato, ripetuto, confer­mato. Simile a tre strumenti in assoluto accordo, che vibrano tutti quando uno vibra, e vibrano in perfetta armonia.

 

3. La prima frattura di questa unione fu causata dalla morte di Giuseppe. Non fu discorde nel suono, perché fino all’ultimo istante della sua vita egli fu tutt’uno con loro, e l’armonia fra i tre non face­va che diventare più intensa e più dolce nel sottostare a nuovi avve­nimenti; anzi, nei mesi del suo declino, della sua malattia e della sua morte, acquistò una più vasta potenza. Poi fu come una melodia at­traverso un numero infinito di note eseguite perfettamente e con precisione, per tempo e per tono, da tutti e tre. Ma terminò in una nota più bassa, e quando Giuseppe morì, la nota fu ancora più de­bole. Non che Giuseppe, benché così santo, aggiungesse molto al suono emesso dagli altri due, ma la comprensione, con il suo vero significato, fa numero e, alla sua morte, una delle tre arpe aveva le corde allentate e taceva.

 

4. Quanta comprensione fra i tre, il momento prima che Giusep­pe morisse: essi lo sostenevano e lo assistevano, ed egli li guardava e si riposava in essi con devozione intatta, senza riserve, suprema, poiché era nelle braccia di Dio e della Madre di Dio. Come una fiamma si sprigiona e poi si spegne, tale fu l’estasi di quell’ultimo istante ineffabile, poiché ognuno sapeva e pensava al dolore che do­veva seguire alla rottura di questo nodo. Un istante, molto diverso, di gioia, non di dolore, fu uguale ad esso per intensità di sentimen­to: quello della nascita di Gesù. La nascita di Gesù, la morte di Giu­seppe, momenti di indescrivibile dolcezza, senza l’uguale nella sto­ria dell’umanità. San Giuseppe andò al limbo, ad attendervi la sua ora, fuori dalla presenza di Dio. Gesù doveva predicare, soffrire e morire; Maria doveva essere testimone delle sue sofferenze, e, anche dopo che egli fu nuovamente risorto, doveva continuare a vivere senza di lui tra i mutamenti della vita e l’insensibilità dei pagani.

 

5. La nascita di Gesù, la morte di Giuseppe, questi momenti di simpatia vivissima e pura tra le persone di questa Trinità terrena ne segnarono il principio e la fine. La morte di Giuseppe, sciogliendo­la, fu la fine repentina di se stessa. Non fu che il principio di quel cambiamento che si doveva operare nel Figlio e nella Madre. Du­rante questi trenta anni, ognuno di essi era stato difeso dal mondo, ed avevano vissuto uno per l’altro. Ora egli doveva andare a predi­care, a patire, e, come per la maggior parte e per i più inevitabili dei suoi cimenti, ve ne fu uno che egli intraprese dal principio alla fine volontariamente, anche quando non vi era obbligato: si privò della gioia di quello scambio reciproco di cuori – del suo cuore con il cuore di Maria – di cui aveva goduto sin da quando aveva preso na­tura di uomo, e che aveva sempre posseduto in maniera divina con il Padre e con lo Spirito Santo.

 

O anima mia, ti è permesso di contemplare questa unione dei tre, e di avere anche tu parte a questa armonia, però con la fede e non con la vista. Dio mio, io credo e so che una comunione di cose celesti fu aperta sulla terra, e non è stata mai sospesa; è mio dovere e mia felicità esservi ammesso; è mio dovere e mia felicità essere in tono con quella musica commoventissima che allora incominciò a farsi sentire. Dammi quella grazia capace di farmela sentire e com­prendere, perché possa penetrare dentro di me. Che gli aneliti dell’anima mia siano con Gesù, con Maria e con Giuseppe. Fammi vi­vere nella oscurità, fuori del mondo e dei suoi pensieri, insieme a lo­ro. Fa’ che io ricorra a loro nel dolore e nella gioia, e viva e muoia nella loro dolce armonia.

 

6. L’ ultimo incontro terreno tra Gesù e Maria avvenne durante la festa nuziale in Cana. Eppure, anche allora, qualcosa era stata tolta a quella felice intimità, poiché essi non vivevano più semplicemente uno per l’altro, ma si mostravano in pubblico, e occupavano il loro posto nella nuova vita che incominciava. Egli manifestò la sua gloria con il primo miracolo, ed ella manifestò la propria, col fare della sua intercessione lo strumento del miracolo. Egli la onorò ancora di più uscendo per lei dal prestabilito ordine di cose e sebbene l’ora sua di operare miracoli non fosse ancora giunta, l’anticipò dietro sua ri­chiesta. Mentre operava il miracolo, egli prese congedo da lei con le parole

«o donna che cosa c’è tra te e me?» (Gv 2;4).

Così egli si se­parò recisamente da lei, anche se si separò con una benedizione.

7. In verità bisognava che colui che doveva essere il vero Gran Sacerdote, nell’esercitare il suo ufficio esteso a tutto il genere uma­no, fosse libero da ogni legame terreno e da simpatie della carne. E una delle ragioni delle sua lunga dimora a Nazaret con la Madre, può essere stata quella di mostrare che, come aveva rinunziato alla gloria del Padre suo e alla sua, su in cielo, per diventare un uomo, così rinunziò alle gioie pure e innocenti della sua casa terrena, per poter essere un sacerdote. Allo stesso modo, in tempi antichi, Melchisedec viene descritto senza padre e senza madre; i Leviti si mo­strarono in tal modo sinceramente degni dell’incarico sacerdotale e formarono la classe dei sacerdoti, perché si erano corazzati contro l’affetto naturale e dissero al padre e alla madre,

«Io non vi cono­sco»,

e alzarono la spada contro i propri familiari, quando l’onore dei Signore degli eserciti chiedeva tale sacrificio. Allo stesso modo nostro Signore disse a Maria:

«Che cosa c’è tra te e me?».

Era la se­parazione del sacrificio, il primo passo di rito del grande atto che doveva essere solennemente compiuto per la salvezza dei mondo.

«Che cosa c’è tra te e me, o donna?»,

è l’offertorio prima dell’im­molazione dell’Ostia. O Signore mio caro, tu che hai rinunziato a tua Madre per me, dammi la grazia di rinunziare decisamente a tutti i miei amici terreni per tuo amore.

 

8. Il Gran Sacerdote disse alla sua famiglia:

«Io non ti conosco»;

e tuttavia noi siamo certi che, nel pronunciare queste parole, il cuo­re di Gesù ricordò il tempo trascorso dopo la sua nascita, che egli pensò ai giorni della sua infanzia trascorsi tra i suoi parenti da lungo abbandonati. Un tempo santa Elisabetta e san Giovanni Battista fe­cero parte della sacra famiglia. Santa Elisabetta era morta, e, come san Giuseppe, sospirava il momento in cui Gesù sarebbe venuto a spezzare le catene che li tenevano lontani dal cielo. San Giovanni aveva da molto tempo abbandonato i suoi parenti, e aveva rinunciato agli interessi terreni per intraprendere la predicazione della venu­ta del Salvatore.

 

Dammi la grazia, o Signore, di vivere in questa società benedet­ta. La mia vita trascorra con te e coi tuoi più cari amici. Quantun­que io non li veda, non lasciarmi...